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Toscani randagi. Canti d’amore, rabbia e osteria
Siberia Records, 2017
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Le canzoni (qui i testi completi con traduzione in inglese):

  1. Il trescone (Svegliatevi dal sonno…)
  2. Bella una serpe dalle spoglie d’oro           ascoltala!
  3. Mammà non mi manda’ fòri la sera
  4. La canzone dell’anatra
  5. La Violina
  6. Il figliol di Sbiloncolo di Valle
  7. Fuga della Mea (La Mea la fa il bucato)
  8. Storia del 107
  9. Il tragico naufragio del vapore Sirio
  10. Rispetti e stornelli lucchesi
  11. Maremma amara
  12. Logiardo
  13. La leggera
  14. La malcontenta
  15. Eccolo maggio

I testi e le musiche sono tutti di autori anonimi e di derivazione popolare.
Informazioni generali (strumenti utilizzati, crediti, ringraziamenti).
Vedi l’apparato grafico:
copertina
libretto con i testi
etichetta sul disco 
crediti 
ringraziamenti
le foto e disegni del disco

Introduzione

Toscani randagi, figli di culture sovrapposte e sopravviventi, nell’amalgama scomposto d’un Novecento breve quanto infinito, ci esponiamo al confronto/incontro con un repertorio setacciato da altri, per noi raggiungibile soltanto indirettamente, eppure vivido, potente, irresistibile.

Non siamo contadini di cinquant’anni fa né antropologi né, in senso stretto, ricercatori.
Il repertorio popolare toscano, di cui offriamo qui una nostra, personalissima e tendenziosa selezione, non deve salvarsi perché è giusto che si preservi: ogni giorno muoiono lingue, specie biologiche si estinguono, forme e usi scompaiono.
Tutto scorre, tutto passa, tutto sarà, prima o poi, dimenticato.

La canzone popolare toscana deve, almeno per adesso, sopravvivere, perché, semplicemente, è bella, perché abbiamo (e non solo noi) voglia di vivificarla, farla risuonare, e perché continua, alla stregua dei grandi testi e delle grandi opere, a parlarci, a essere contemporanea. Lo può essere, e quindi lo è.

E consapevoli del paradosso rivelatore secondo il quale per essere fedeli è necessario tradire (tradire, nell’etimo, significa pure trasmettere), vi proponiamo questi canti, nella loro e soprattutto nostra più smaccata, maliziosa autenticità. Senza finger d’esser ciò che non siamo né potremmo essere, senza pensare che la Toscana sia migliore, o peggiore, di altre terre, ma con la caparbia coscienza che non tutto il nuovo o l’inedito sia buono in quanto tale, e che uscire, pur parzialmente, dal modello produci-consuma-crepa anche in ambito di scelte musicali rappresenti una necessaria e, perché no, festosa forma di resistenza.